Come abbiamo anticipato nell’articolo dedicato, la celiachia è una malattia infiammatoria a tratti autoimmuni, permanente, dell’intestino scatenata dal consumo di alimenti contenenti glutine, in soggetti geneticamente disposti. Può manifestarsi a qualunque età, con segni e sintomi estremamente variabili per intensità e per localizzazione.
Difatti, solo un terzo della popolazione mondiale stimata celiaca (in Italia 200.000 persone su 600.000 circa) ha ricevuto finora una diagnosi.
Ma qual è l’iter per diagnosticare la malattia?
I due punti fermi dell’analisi sono la ricerca sierologica e la biopsia della mucosa duodenale.
La ricerca sierologica è volta a ricercare nel sangue gli anticorpi anti-gliadina, anti-endomisio e anti-transglutaminasi tissutale e/o anti-gliadina diamidata. Generalmente viene, quindi, prescritta l’analisi per IgA, AGA, EMA e tTG.
La biopsia della mucosa duodenale, invece, consiste nel prelevare una piccolissima parte di tessuto della mucosa del piccolo intestino, per valutare il grado di lesione dei villi intestinali. Questo esame è considerato il gold standard per la diagnosi, ovvero quello più accurato per confermare o meno la malattia. Viene eseguito in fase di gastroscopia, per cui può risultare fastidioso per alcuni soggetti ma non è poi troppo invasivo.

Il campione di tessuto prelevato viene analizzato in laboratorio allo scopo di ricercare i linfociti CD3 e determinare la quota dei linfociti T intraepiteliali. Da questa analisi è possibile dunque comprendere il grado di atrofia dei villi intestinali, definita dalla cosiddetta Classificazione di Marsh:
- Lesione di tipo 0 o preinfiltrativa, quando si osservano alterazioni minime nella mucosa e depositi di IgA nel derma papillare;
- Lesione di tipo I o infiltrativa, quando i villi risultano nei limiti morfologici della norma (normale rapporto villo/cripta =3/1), si rileva un incremento del numero dei linfociti intraepiteliali superiore a 25 ogni 100 cellule epiteliali (anche se piccoli e non mitotici), le cripte di Lieberkühn risultano nella norma;
- Lesione di tipo II o iperplastica, quando oltre agli effetti dati dalla lesione di tipo I, vi è anche iperplasia degli elementi ghiandolari (cripte di Lieberkühn);
- Lesione di tipo III o distruttiva, quando vi è atrofia dei villi di grado variabile, associata ad iperplasia delle cripte ghiandolari, si rileva un incremento del numero dei linfociti intraepiteliali superiore a 25 ogni 100 cellule epiteliali (grandi e mitotici – blasti) e gli enterociti risultano anch’essi danneggiati;
- Lesione di tipo IIII o ipoplasica, quando l’architettura del piccolo intestino è completamente persa.
Lo step successivo riguarda il test genetico volto ad indagare la suscettibilità alla celiachia. Questo esame valuta la maggiore o minore predisposizione del soggetto a sviluppare la malattia in base alla presenza o all’assenza di determinati fattori di rischio (geni HLA – DQ2 e/o DQ8). Più del 90% delle persone affette da celiachia, infatti, presentano uno dei genotipi sopraindicati, contro il 25% della popolazione generale.
Ci sono casi in cui non è necessario seguire questo protocollo di analisi?
Sì, dal 2012 è possibile evitare la biopsia intestinale. L’esenzione riguarda i pazienti in età pediatrica ed adolescenziale, che rispettino determinate condizioni, ovvero:
- Presentino sintomi suggestivi di celiachia e malassorbimento dei nutrienti;
- I loro esami sierologici risultino positivi per gli anticorpi anti-transglutaminasi di classe IgA ad alto titolo (> 10 volte il valore di normalità del test);
- I loro esami sierologici risultino positivi per gli anticorpi anti-endomisio di classe IgA;
- Presentino predisposizione genetica nello sviluppo della malattia celiaca (ovvero abbiano i geni HLA – DQ2 e/o DQ8).
È possibile iniziare il protocollo di ricerca della malattia in qualsiasi momento?
Dipende. Se la dieta seguita fino a quel momento comprende il glutine, allora sì. In caso contrario, occorre prima reinserirlo.
Gli accertamenti diagnostici per ricercare la presenza della celiachia, infatti, devono essere eseguiti a dieta libera, ovvero una dieta che comprenda il glutine.
Quando è essenziale eseguire il test genetico?
Risulta essenziale eseguire il test quando in famiglia è presente un soggetto celiaco. Tuttavia, questa non è l’unica circostanza in cui i medici prescrivono tale esame. Infatti, è indicato procedervi anche in presenza di casi dubbi in età adulta e, appunto, in fase di diagnosi di pazienti in età pediatrica/adolescenziale.
Se non ho sintomi, perché dovrei sottopormi agli esami per diagnosticare la celiachia?
Generalmente, come anticipato sopra, viene richiesto di eseguire il test genetico ai familiari di 1° grado di soggetti celiaci, anche se non presentano alcun sintomo, oppure a pazienti affetti da patologie associate alla celiachia.
Questa malattia, infatti, può essere sviluppata anche in forma silente ed è molto importante diagnosticarla il prima possibile, per ridurre al minimo le conseguenze che porta con sé.
Se non le conosci, puoi approfondirle nel nostro articolo “Cosa comporta la celiachia?”.
Le informazioni che trovi in questo articolo provengono da fonti certe e scientifiche.
In particolare: AIC Associazione Italiana Celiachia, CDI – Centro Diagnostico Italiano, Università di Chieti, Protocollo per la Diagnosi e il Follow up della celiachia (GU n.191 19/8/2015)